[19/02/14]

RIVALUTAZIONE BENI D’IMPRESA: LIMITI E CONVENIENZA

di Giovanni Luca Cezza

Con l'approvazione della L. 27 dicembre 2013, n. 147 (cd. Legge di Stabilità 2014), a far data dal 1° gennaio 2014, il legislatore ha disposto ai commi da n. 140 a n. 146 la riapertura dei termini per usufruire dell'opportunità di rivalutare beni d'impresa e partecipazioni, ad esclusione degli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività d'impresa. Destinatari di tale provvedimento sono tutti i soggetti di cui all'art. 73, c. 1, lett. a) e b) del TUIR, a condizione che non redigano il bilancio d'esercizio secondo gli IAS/IFRS.
Sono rivalutabili tutti i beni costituenti immobilizzazioni, materiali e immateriali (esclusi gli oneri pluriennali) e le partecipazioni presenti nel bilancio di riferimento (2012) e in quello di rivalutazione (2013).
La nuova disciplina, che ricalca sostanzialmente quanto già disposto dalle precedenti normative per espresso rimando del comma 146, in quanto compatibili, agli artt. 11, 13, 14 e 15 della L. n. 342/2000, al D.M. 162/2001, al decreto MEF n. 86/2002, ai commi 475, 477 e 478 dell'art. 1 della Legge n. 311/2004, stabilisce che la rivalutazione ha effetto con il pagamento di una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell'Irap e di eventuali addizionali pari al 16% con riferimento ai beni ammortizzabili e al 12% per quelli non ammortizzabili, che può essere versata in un'unica soluzione o, in alternativa, in tre rate annuali senza l'applicazione di interessi legali.
Il comma 143 prevede che Il riconoscimento fiscale dei maggiori valori attribuiti in sede di rivalutazione avverrà a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata eseguita (quindi 2016) con riferimento agli ammortamenti e, a norma del comma 144, dal quarto esercizio successivo (quindi 2017) con riferimento alle plusvalenze derivanti sia da cessione sia da altre fattispecie assimilate quali assegnazione ai soci, destinazione a finalità estranee all'esercizio dell'impresa ovvero consumo personale o familiare dell'imprenditore. Pertanto nell'ipotesi in cui i beni dovessero essere ceduti prima dell'inizio del quarto esercizio successivo alla rivalutazione (prima del 2017) il maggior valore non è riconosciuto e la plusvalenza dovrà essere determinata senza tenere conto della rivalutazione.
Di particolare rilevanza le metodologie da adottare per determinare i maggiori valori dei beni senza peraltro correre il rischio di incorrere in responsabilità da parte di amministratori e sindaci, anche alla luce del fatto che la norma non impone in questo senso rigidi obblighi formali, né la dottrina ha avuto modo di esprimere posizioni univoche sul punto (Si veda Documento di ricerca Assirevi n. 71 del 2001; Assonime n. 13/2001), restando pertanto ammesse sia perizie redatte da esperti indipendenti quanto perizie interne, seppur redatte secondo procedure atte a verificarne l'affidabilità.
Con riferimento ai criteri di rivalutazione da adottare, il comma 146 rimanda all'art. 11, c. 2, della legge n. 342 del 2000, per cui i valori iscritti in bilancio a seguito della rivalutazione non possono superare quelli ad essi attribuibili in base:
-alla loro consistenza, capacità produttiva, effettiva possibilità di utilizzazione economica
nell'impresa (cd. criterio del valore interno);
-ai relativi valori correnti (cd. criterio del valore esterno).
Pertanto la rivalutazione deve essere attentamente valutata perché i maggiori valori devono trovare conferma, nei successivi esercizi, nei valori d'uso o di cessione dei beni rivalutati; generalmente trattandosi di beni utilizzati direttamente e non destinati alla vendita il riferimento è al valore d'uso. Anche il principio contabile OIC 16 dispone che la rivalutazione di un'immobilizzazione materiale non può spingersi oltre il valore d'uso dell'immobilizzazione stessa.
Un metodo semplice di calcolo del valore d'uso potrebbe essere quello della c.d. capacità di ammortamento. Predisponendo un budget pluriennale affidabile, laddove i ricavi meno i costi e gli oneri finanziari sono in grado di coprire gli ammortamenti, l'eventuale differenziale positivo, dedotti gli ammortamenti sul costo storico, misura la capacità dell'azienda di coprire maggiori ammortamenti derivanti da una eventuale rivalutazione. Solo in presenza di tale
differenziale positivo avrebbe senso valutare il ricorso alla rivalutazione.
Il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione avrà quale contropartita contabile una riserva di patrimonio netto di importo pari alla rivalutazione diminuita dell'imposta sostitutiva dovuta (c.d. saldo attivo di rivalutazione). Tale riserva, ai fini fiscali, sarà da considerare in sospensione d'imposta "moderata" ed in quanto tale da assoggettare a tassazione in capo alla società nell'ipotesi di distribuzione ai soci.
Dal punto di vista civilistico la riserva potrà essere imputata a capitale sociale, distribuita ai soci o utilizzata a copertura perdita nel rispetto dei vincoli di cui ai commi n. 2 e n. 3 dell'art. 2445 del c.c. richiamati dall'art. 13, c. 2, della legge n. 342 del 2000.
Il comma 142 dispone che il saldo attivo di rivalutazione può essere affrancato con il pagamento di una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell'IRAP e di eventuali addizionali nella misura del 10% da versare secondo le modalità indicate al comma 145.
L'affrancamento è consentito solamente per la riserva originata a seguito della rivalutazione in esame e non anche per le riserve costituite a seguito di precedenti rivalutazioni (come chiarito dall'Agenzia delle Entrate in occasione del Telefisco 2014).
Sono confermate le precisazioni contenute nella circolare AdE n. 18 del 2006, secondo cui la base imponibile su cui applicare l'imposta in questione è pari all'ammontare della riserva di rivalutazione, al lordo dell'imposta dovuta per la rivalutazione stessa. In tal caso, la riserva può essere immediatamente distribuita in capo ai soci. Infine alcune considerazioni sulla convenienza della rivalutazione. In primis l'attuale legge di rivalutazione si presenta come provvedimento avente quale unico scopo quello di andare incontro alle esigenze di gettito fiscale e molto meno a quelle delle imprese.
Impone di dare rilevanza fiscale ai maggiori valori, non essendo ammessa la rivalutazione solo civilistica come in occasione del D.L. 185/2008, seppur rivolta ai soli immobili, ed in occasione della quale, a voler dare rilevanza fiscale alla rivalutazione, le aliquote delle imposte sostitutive erano dell'1,5% per i beni non ammortizzabili e del 3% per quelli ammortizzabili.
Volgendo lo sguardo alle precedenti leggi di rivalutazione, in occasione della rivalutazione di cui alla Legge n. 266/2005 operata sui bilanci al 31/12/2005, l'imposta sostitutiva per i beni ammortizzabili era del 12%, a fronte di aliquote pari a 37,25% (IRES 33% e IRAP 4,25%) con una convenienza fiscale del 25,25%. Con la odierna rivalutazione ed aliquote pari al 31,4% (IRES al 27,5% e Irap al 3,9%), la convenienza si riduce al 15,4% (31,4% - 16%).
A quanto appena detto si aggiunga che dopo aver rivalutato una immobilizzazione sostenendo un costo del 16% con la prospettiva di poterla cedere senza dover conseguire una plusvalenza tassabile, non si è completato l'onere fiscale in capo alla società. Il maggior valore che verrà realizzato è racchiuso nella riserva in sospensione d'imposta che per essere distribuita ai soci richiederà una tassazione ordinaria al 27,5%, al netto del credito d'imposta pari all'imposta sostitutiva versata del 16%, quindi 11,5%, se non affrancato al 10%.
Pur aderendo all'affrancamento della riserva al costo del 10%, avremo speso 16% + 10% = 26% nel 2014 senza poter cedere il bene rivalutato fino al 2017 al solo fine di coprirci contro il rischio di non aver rivalutato e di dover sostenere una tassazione del 31,4% nel 2107 (5,4% in più dopo quattro anni …), sempre che la cessione sperata venga a realizzarsi.

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